Le utopie generano artisti

Le utopie generano artisti

"Dipinto Blu" di
Kandinsky esposto alla mostra veneziana

Alla Guggenheim dai Nazareni al Bauhaus

FIORELLA MINERVINO
VENEZIA

Che gli ideali utopici abbiano alimentato e
seguitino ad alimentare tuttora gli artisti è cosa nota, tuttavia la
meditata esplorazione, compiuta da Vivien Green dal Guggenheim
newyorchese, si impone per indubbia suggestione. La curatrice ha
ampliato i confini di coloro che hanno seguito le utopie nell’arco di
circa due secoli, a partire dall’Illuminismo, cioè dalle rivoluzioni
francese e americana, aggiungendo confraternite, movimenti e artisti.
Così abbiamo i primitifs francesi, in opposizione al neoclassicismo di
David, Nazareni e Preraffeliti inglesi con il loro «proseguimento» in
Arts and Crafts ed Estetismo, l’americana Cornish Colony. Ma la
galoppata della Green raggiunge lo scatto nel secolo scorso, quando si
passa da Deutsche Werbund e De Stijl alle avanguardie russe, e
geograficamente in senso inverso dal Suprematismo di Malevich, e dal
Costruttivismo russo al Bauhaus di Weimar e Dessau. È pur vero che in
comune dal calare del ’700 sino al termine del XIX secolo gli artisti
di ispirazione utopica vollero far coincidere arte e vita, isolati in
«cittadelle ideali», dove talora si mitizzava il ritorno alla natura
incontaminata, servendosi di linguaggi artistici ispirati al passato,
magari come reazione all’industrializzazione incalzante. Altre volte si
teorizzava l’abbattimento dei confini fra le arti e tra arte e
artigianato dando uguale dignità a pittura, scultura, architettura e
design.

In catalogo tutto ciò è espresso con chiarezza e in
dettagli minuti; quanto alla mostra, risulta ricca d’una settantina di
dipinti, disegni, grafiche, tessuti, sculture, mobili, oggetti di
design, foto, bozzetti per manifesti. Indubbiamente vanta opere
notevoli, talora eccezionali specie nella parte ultima, là dove
compaiono Kandinsky per il Bauhaus con Dipinto blu 1924, i Klee,
piuttosto che i superbi Mondrian, Vantangerloo, la celebre Poltrona
rossa e blu di Rietveld, 1918, per De Stijl. Meno persuasiva risulta
(forse per la difficoltà nel reperire le opere e ottenere prestiti) la
prima pur interessante parte. Alcuni movimenti come quello dei Nazareni
sono illustrati con scarni dipinti di Pforr e Overbeck, ma senza
quelli «cruciali», sostituiti da disegni o incisioni, come Italia e
Germania di Overbeck. Ed è un peccato soprattutto per coloro che
ricordano le splendide esposizioni in Europa dedicate a tali movimenti.

Più o meno in egual modo, con pochi dipinti ma molti disegni,
tessuti e illustrazioni, sfilano i Preraffaeliti con Millais, Hunt,
Rossetti, Morris e Burne-Jones. Qui abbiamo alcune vetrate e il superbo
Arazzo Angeli laudantes, 1898, restaurato e prestato dal Metropolitan.
Tra gli artisti che completano la mostra Dewing e Saint-Gaudens, poco
conosciuti in Europa, pertanto da riscoprire, poi Pissaro,
esageratamente celebrato come Signac e Cross, nonché Toorop e altri
nutriti, alla pari di tutti i Simbolisti, di istanze sociali e ideali
anarcoidi. Una mostra da non perdere, con qualche delusione che il
catalogo provvede a temperare.

UTOPIA MATTERS
DALLE
CONFRATERNITE AL BAUHAUS
VENEZIA, COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM,
FINO
AL 25 LUGLIO

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