Arte in rete

Intervista a Miltos Manetas, ideatore del Padiglione Internet
all’ultima Biennale di Venezia. In esclusiva per AtCasa il futuro
dell’arte e le possibilità del web


nato in Grecia, ha studiato in Italia, vive tra Londra e Los
Angeles. Miltos Manetas è abituato a non ragionare dietro ai confini.
La sua arte, celebre quanto controversa, rappresenta la contemporaneità
più estrema, dai grandi dipinti che ritraggono strumenti tecnologici
fino ai siti web venduti come opere uniche. In occasione della Biennale
di Venezia 2009 ha curato il settore on-line che non si era mai visto –
né pensato – prima, con un Padiglione Internet cui hanno partecipato
numerosi creativi di diverso genere

Da dove viene l’idea di fare un Padiglione Internet per la Biennale
di Venezia che sia esclusivamente on line, con tanto di inaugurazione e
chiusura parallele a quelle della manifestazione ufficiale?

Internet – che oggi sta diventando sempre più "Internets" cioè
situazioni che esistono sia in rete ma anche in diversi territori
governati dalla realtà della rete – è il nostro vero "paese". A mio
avviso l’unico paese che valga la pena di difendere per proteggere le
sue libertà, scoprire e comunicare la sua arte. In Internet, abbiamo
l’occasione di creare un Nuovo Mondo, la vera America finalmente
democratica e bella dove la materia prima appartiene a tutti. Ho voluto
inaugurare un Padiglione per questo paese e ho scelto di farlo come
progetto collaterale, così Il Padiglione sarà indipendente dai diversi
capricci amministrativi della Biennale.

Che cosa è il web per te? La tua arte, che da sempre ruota
attorno a tracce riconoscibili della contemporaneità, come è approdata
alla dimensione virtuale?

"Non c’è niente di naturale nella Natura figlio mio" dice un fauno a
un giovane uomo in un film di Pasolini. Allo stesso modo, non c’è
niente di virtuale nel web, che ci coinvolge in maniera diversa ma
analoga allo spazio reale. Ora ci riempie con sentimenti di
possibilità, ora ci sembra impossibile e kafkiano – come le nostre
città – e molto spesso appare per quello che è veramente: un deserto
pieno di miraggi, esattamente come la realtà che circonda i nostri
corpi. Per il momento, il web è un deserto di schermi – per usare le
parole di Paul Virilio – e presto gli schermi spariranno. Io e la mia
generazione, che abbiamo toccato questo paesaggio, dipingiamo le sue
caratteristiche come dei neo-impressionisti, tutto qui.

Intervista al celebre e controverso artista che ha rivoluzionato il concetto di arte on-line

Hai realizzato numerose opere on-line. Siti in edizione unica,
visibili on line, spesso interattivi. Cosa spinge un collezionista a
comprare questi lavori, a preferirli magari a una tua tela di grandi
dimensioni e sicuro effetto? Pensi ci sia un logico e naturale
evolversi nel tuo lavoro, oppure vedi una frattura netta al passaggio
tra pittura e virtuale?

Non c’è nessuna frattura tra la pittura e le opere on-line: sono
ambedue vista tramite finestre. C’è invece una grande distanza tra le
opere della cosiddetta arte contemporanea – installazioni, opere
concettuali ecc. Come ha detto Degas, "l’aria che si respira nei quadri
non è l’aria che si respira in strada". È un’aria diversa quella che si
trova nelle mia pitture e le opere Internet da quella che si trova
nelle opere alla National Geographic.

Per Purple Fashion Magazine #11 avevi scritto e selezionato una
serie di testi anti-copyright. Per il Padiglione Internet hai
collaborato con musicisti, architetti, designer e altri artisti, in un
mix di virtuale e fisico. Credi che la creatività si stia muovendo
verso una realtà più fluida, alla portata di tutti? Che non sia più
necessariamente legata a un unico individuo e sia invece disposta e
incrociare linguaggi, categorie e soggetti differenti? Oppure, dietro
all’opera, rimane comunque un singolo soggetto pensante?

Secondo me, un’opera d’arte si fa da sola. È sempre stato cosi e non
cambierà. Sono una serie di casi che la creano, come un magnifico
incidente autostradale. Si può individuare una o più persone che
guidavano una o più delle prime macchine che hanno dato inizio a un
tale episodio, però è stata necessaria una sincronizzazione quasi
inconcepibile per dare al quadro della situazione la sua complessità.

Il web è comunicazione. Assenza di frontiere, terreno fertile di
contaminazioni da percorrere a piacimento. Da qui, forse, deriva la
trasversalità espressiva, artistica o meno. Il sentimento un po’
anarchico di non appartenenza a un paese, a una corrente, a un singolo
argomento. A costo zero. Tu hai detto "Websites Are The Art Of Our
Times" e anche “Outside of the Internet there is no Glory”. È questa la
nostra contemporaneità? Oppure, nel momento in cui tutto questo è
riconosciuto, diventa automaticamente parte del passato?

Infatti, il web è già superato. Questo è stato il messaggio che ho
voluto comunicare nel mio Padiglione Internet, però non ci sono
riuscito. Il primo Padiglione Internet è stato un "magnifico
fallimento" per me – per dirla con le parole di Malcolm McLaren, che
cercando di fare un casino situazionista si è trovato con I Sex Pistols
e Il Punk. Non c’è niente da fare: un creatore deve obbedire alle
sentenze della sua creazione. Quest’anno io sono partito per
distruggere l’impero degli schermi e per introdurre un Internet
diverso, e mi sono invece trovato nel mezzo di un’urgente e anche
divertente lotta sociale: quella di PirateBay. Non mi lamento…

Sei – e sei stato – un anticipatore. Più che di tendenze, parlerei
di territori e tematiche inesplorate in cui ti sei mosso da pioniere.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Quale pensi sarà il futuro per
l’arte e la comunicazione?

Non c’è futuro: odio i futurismi perché altro non sono che una
favola per far lavorare la gente il più possibile. I futuristi erano
infatti dei fascisti e fascisti di un altro tipo sono quelli che oggi
riempiono i mass media con le promesse di strumenti che renderanno il
nostro lavoro più facile e il nostro divertimento più solare. La verità
è che ogni nuova scoperta tecnologica porta a un’esplorazione maggiore
della nostra libertà, tempo e felicità , nasconde e traveste il mondo e
separa di più i pochi fortunati dagli schiavi che pagano il conto di
tutti. Arte oggi, come ieri, è distruggere la determinazione del reale,
togliere la "sedia" da una sedia, vedere un albero dove un albero non
c’è, mettere Super Mario a dormire nel suo videogioco e far sì che i
computer ci parlino della loro vita sentimentale.

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